“La bonifica integrale e i consorzi di bonifica in Maremma”. Anche il Consorzio di Bonifica 6 Toscana Sud ha partecipato al ciclo di incontri “Malaria e Maremma. Gli stereotipi della tradizione, la ricerca scientifica e la sicurezza sanitaria”, promossi dal polo universitario grossetano, con la collaborazione dell’associazione rotariana Carlo Bertiri Zeppi, dell’Asl Toscana Sud Est, dell’Unitre Grosseto, del Soroptimist, della Fondazione Grosseto Cultura e dell’Ordine dei medici di Grosseto. E’ stato il presidente di Cb6, Fabio Bellacchi, a raccontare il percorso servito a trasformare la Maremma da una terra malarica e infida a una pianura mite e accogliente. “Quella della Maremma – spiega Bellacchi – è la storia di un paesaggio sociale, ma anche di eventi economici e sociali e che hanno creato il senso di appartenenza alla comunità che oggi si identifica come Maremma”. Filo conduttore di questa storia di uomini e di ambiente è, appunto, la bonifica. Sono le stesse parole a testimoniare un legame indissolubile: Lagacciolo, Barbaruta, Badiola al Fango, Diaccia Botrona, Casotto Pescatori, Squadre Basse, Trappola, tutti toponimi che si identificano con un paesaggio aspro.

“La Maremma – ricorda Bellacchi – a lungo è stata quasi inabitabile, come raccontano Cassola e Bianciardi che vorrebbero una terra nuova e diversa. Qui nasce il parallelismo, non certo positivo, con Kansas City, con la nostra provincia Far West dell’Italia. Era la Maremma amara, terra di migranti che arrivano ma spesso non tornano a casa. La storia di un territorio ben descritto già da Leopoldo II di Lorena”.

Proprio con i Lorena inizia il lungo cammino della bonifica che passa anche attraverso una nuova visione dell’agricoltura e degli agricoltori. Tutta la politica dei Lorena ad iniziare da Pietro Leopoldo ha avuto come obiettivo tanto il risanamento quanto la costituzione di un distretto rurale specialmente cerealicolo, strategico per la Toscana: tutto doveva produrre ed essere collegato ad una espansiva politica demografica ed insediativa coerente e risolutiva anche della carenza di forza lavoro e di una economia asfittica. L’obiettivo agrario in sostanza non aveva un carattere esclusivo o assoluto, come si apprende esaminando i diari di Canapone e anche l’opera della Commissione Sanitaria. Ne era stato precursore Sallustio Bandini: reso famoso dal saggio del 1737, “Discorso sopra la Maremma di Siena”, aveva posto l’accento sulla necessità di bonificare la Maremma, ma anche del dazio da versare agli agricoltori, una sorta di reddito per chi lavorava la terra. Nella successiva legge agraria compare la dieta, un tentativo di riconoscere ai contadini almeno il cibo (pane, cipolla, patate).
E’ poi con lo stato unitario, che si arriva a una vera e propria riforma agraria, perché finalmente si capisce che l’agricoltura così come è concepita non può andare avanti. Le condizioni di lavoro restano estremamente faticose: se già nella prima metà dell’Ottocento si iniziano a vedere aratri e trebbiatrici, lo sviluppo non decolla e la vita nelle fattorie è difficile. Tra gli anni Settanta e Ottanta vengono assegnati i primi 12 poderi tra Gorarella e Barbanella, poi 26 a inizio Novecento a Poggiocavallo. Ma in gran parte gli agricoltori sono avventizi. In questi anni emerge la figura di Bettino Ricasoli, che spinge sulla produttività delle terre: l’officina agricola grossetana è un vero e proprio esperimento sociale nelle sue tenute a Barbanella.

Le condizioni per una svolta sono comunque mature, ma vengono rallentate dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. L’idea di un’agricoltura nuova, più sociale e più produttiva, viene quindi ripresa dal Fascismo che porta a compimento le iniziative dello stato unitario e le velocizza, fino alla nascita dei consorzi di bonifica avvenuta nel 1926. E la malaria? Solo all’inizio del Novecento gli studi portano alla scoperta della zanzara anofele come vettore del terribile morbo. Prima, a partire dai Lorena, si pensava solo all’aria insalubre favorita dall’acqua salata nelle paludi come causa. La bonifica per colmata, con il prosciugamento del lago Prile a Castiglione della Pescaia, inizia già nell’Ottocento, non perché si volesse combattere la zanzara ma perché si cercavano di recuperare terreni agricoli. Ripresi con lo stato unitario e poi bloccati durante la Guerra, anche questi interventi furono completati con il Fascismo e la nascita dei consorzi di bonifica. “Da non dimenticare – aggiunge Bellacchi – il supporto fornito dai veneti dopo la Prima Guerra Mondiale e dall’Ente Maremma dopo la Seconda, al fianco del consorzio di bonifica”. “Una storia importante – conclude il presidente – fatta anche di opere di bonifica secondaria e terziaria: la chiesa di Montepescali, quella dell’Immacolata a Roselle e dell’Addolorata a Grosseto sono alcuni esempi. Che ci ha portato al presente in cui Cb6 gestisce un reticolo di 11.300 chilometri, dei quali oltre 7mila in vigilanza e 4mila in manutenzione”.