Un emendamento da presentare alla commissione bilancio per destinare maggiori risorse alla gestione idraulica del territorio nella prossima Legge Finanziaria: è quanto annuncia l’associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio (Anbi) all’indomani della “call to action”, organizzata con Svimez (Società per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno) e che ha visto la partecipazione di sindacati, Utilitalia, autorità di bacino distrettuale a confronto con rappresentanti di Governo e Parlamento.

“Non ci si può rassegnare ai 520 milioni previsti dal piano nazionale di ripresa e resilienza, quando i soli consorzi di bonifica ed irrigazione hanno avuto ammessi a finanziamento progetti definitivi per oltre un miliardo e 620 milioni – afferma Francesco Vincenzi, presidente di Anbi – E’ necessario trovare altre risorse, ad iniziare dal fondo sviluppo e coesione, anche per colmare il gap infrastrutturale fra nord e sud del paese”.

“Il Mezzogiorno può essere il laboratorio sperimentale per la  bioeconomia e le nuove tecnologie, laddove proprio in quest’area si stanno manifestando, sul versante idrico, maggior frequenza ed intensità di eventi climatici estremi – indica Luca Bianchi, direttore di Svimez – Una gestione unitaria dell’acqua per uso irriguo e civile; una governance condivisa tra le autorità competenti degli investimenti previsti dal Pnrr al Sud; un piano di esecuzione degli interventi , affidato alle strutture preposte sul territorio, purché le pubbliche amministrazioni locali si dotino di personale qualificato, con un monitoraggio nazionale, dotato di effettivi poteri sostitutivi, perché il tema resta quello della messa a terra delle politiche dopo le prime criticità  avute col bando per la realizzazione di interventi irrigui, a causa di una risposta asimmetrica dei territori”.

In Italia, le calamità naturali provocano mediamente danni per 7 miliardi di euro, di cui 1 a carico delle attività agricole; tra il 2010 ed il 2020 si sono registrati 946 eventi estremi (frane ed alluvioni), che hanno causato 251 vittime e 50.000 sfollati.

“Tra le concause – evidenzia il presidente di Anbi – c’è l’inarrestabile consumo di suolo, contro il quale ribadiamo la necessità di approvare la legge, che giace da anni nei meandri parlamentari.”

L’Italia, infatti, è il primo paese europeo per superficie urbanizzata (2.100.000 ettari, pari al 7,11% del territorio) ad un ritmo di 2 metri quadri al secondo (14 ettari al giorno), di cui il 16,7% è in aree ad elevato rischio  alluvione ed il 5,2% a pericolo di frana.

“L’essere passati in pochi anni dalle bombe d’acqua alle tempeste ed ora agli uragani non solo accentua l’inadeguatezza della  nostra rete idraulica all’emergenza climatica, ma pregiudica lo sviluppo economico del paese – aggiunge Massimo Gargano, direttore generale di Anbi– Un territorio idrogeologicamente insicuro non incentiva gli investimenti.”

In Italia, dal 2013 al 2019 ci sono state 87 dichiarazioni di stato d’emergenza per eventi idrogeologici con oltre 11 miliardi e 426 milioni di danni; gli importi realmente ristorati al  territorio, però, superano di poco i 959 milioni, cioè meno del 10%.

“Oggi è il tempo delle scelte di fronte alla crisi climatica e, come dimostrano le cifre, la soluzione non sono le dichiarazioni di calamità – conclude Vincenzi – E’ indispensabile che la rete idraulica sia concretamente considerata al pari delle altre infrastrutture strategiche del Paese ad iniziare da un Piano Invasi, come quello lanciato nel 2017 da Anbi, per realizzare bacini medio-piccoli in tutto il Paese. E’ un disegno ancora di straordinaria attualità e utilità per l’ambiente, la falda, il potabile, le imprese”.

FONTE: UFFICIO STAMPA ANBI NAZIONALE